Grazie al successo di Zootropolis è arrivato il terzo premio Oscar per il “nostro” Mitja Rabar, l’animatore triestino che dal 2012 lavora per i Walt Disney Animation Studios. Riproponiamo qui la nostra intervista fatta in occasione dell’ultimo Trieste Science+Fiction Festival, dove Mitja ci ha raccontato la magia del suo lavoro, partendo proprio da Zootropolis.
“La sfida più stimolante del mio lavoro è quella di sforzarsi continuamente per cercare di creare tutto ciò che lo spettatore non potrà mai vedere: se infatti devo animare un personaggio che in una determinata scena viene inquadrato dalla cinta in su, preferisco sempre animargli anche le gambe; potrei risparmiare tempo e fatica animando solo quello che il pubblico vedrà sullo schermo, però sono fermamente convinto che solamente dando l’impressione che esista qualcosa anche fuori dall’inquadratura – solamente lasciando all’immaginazione una via di fuga – sia possibile creare e stimolare un interesse verso il proprio mondo. È sempre bello ed appagante lasciare negli spettatori l’impressione che quello a cui hanno assistito guardando il film sia soltanto una finestra su quel mondo, e che oltre ad essa esista dell’altro. Ed è forse questa, per chi come me crea dei nuovi mondi partendo da zero, la cosa più bella”.
Mitja Rabar è un “character animator” triestino che dal 2012 lavora per i Walt Disney Animation Studios, in California. Gli ultimi film per cui ha lavorato sono Ralph Spaccatutto, Frozen, Big Hero 6, Zootropolis e Oceania. Con loro sono arrivati due premi Oscar nella categoria Miglior film d’animazione. E per chi, agli occhi dei più, è sempre stato uno che per vivere “fa disegnetti”, l’essere arrivato nel più antico studio di animazione ancora in attività e lavorare in un reparto dove viene considerato una delle figure importanti del processo di realizzazione delle opere, significa solamente una cosa: aver raggiunto il massimo.
Nel panorama cinematografico contemporaneo, dove le possibilità di ricreare a livello visivo universi, creature e situazioni sono infinite, ma l’eccessiva sovraesposizione ad immagini ultraspettacolari sembra aver precluso agli spettatori la possibilità di stupirsi veramente, ecco che il ruolo degli animatori come Mitja è diventato di cruciale importanza nel non lasciare che la capacità di meravigliarsi venga dimenticata.
Una rieducazione alla meraviglia che, come racconta l’animatore triestino, è frutto di un’organizzazione del lavoro coinvolgente e continuamente stimolante; di una solidità societaria che permette di avere un controllo totale sui propri film, durante tutte le fasi di realizzazione; di una filosofia di fondo che vuole che non ci si dimentichi mai di poter pensare di realizzare l’impossibile.
“Forse il problema più grande dei blockbuster di oggi è che si affidano eccessivamente a effetti speciali realizzati da delle aziende esterne alla produzione del film. E purtroppo, così facendo, anziché essere perfettamente integrati alla storia, finiscono per oscurarla, diventando essi stessi il motivo per cui moltissime persone vanno al cinema. Questa non è sicuramente una cosa che fa bene al cinema: io credo che dovrebbero essere sempre le storie a fare da traino, con l’aspetto visivo ad arricchire il mondo che si vuole raccontare. Per fortuna da noi alla Disney non sussiste questo problema, molto semplicemente perché tutto, dalla pre-produzione, alla distribuzione, dai giocattoli ai parchi a tema, viene realizzato in sede. E questo ci permette di lavorare con la consapevolezza che se un film non è pronto, ha bisogno di più lavoro o di qualche modifica, la sua data d’uscita slitta.
Lavorare in questo modo significa avere la possibilità di poter curare ogni scena fino al più minimo dettaglio senza l’ansia della consegna. E mi piace pensare che qualsiasi spettatore potrebbe mettersi a fissare un fotogramma di un nostro film per 10 minuti senza mai stufarsi, perché il tempo e la cura con cui ogni cosa viene realizzata sono quelle giuste. Per Zootropolis, ad esempio, abbiamo sviluppato in maniera incredibile ogni diversa sezione della città: ogni ricerca, ogni idea, ogni storia era così bella che mi sarebbe piaciuto vederla più approfondita all’interno del film. È incredibile quanto materiale, poi inutilizzato, fosse stato prodotto. Però tutta questa complessità emerge dal film; credo si percepisca come ogni dettaglio è studiato, ogni abitante vive per davvero, ogni angolo della città racchiude in sé delle storie.
È davvero fondamentale per lavori come questo, mantenendo ovviamente la consapevolezza di rappresentare solamente un piccolo ingranaggio, sentirsi al centro del progetto e parte integrante del processo creativo: vedere come le tue proposte e le tue idee vengano spesso ascoltate e poi realizzate è un continuo incentivo a creare e sperimentare. Dietro a tutto questo si aggiunge un continuo studio dei materiali vecchi, dei bozzetti dei film del passato che, oltre a rappresentare un esempio da continuare a seguire – una sorta di ricetta magica che proviamo costantemente a ricreare – ci spronano ad uscire dagli schemi con cui siamo abituati a ragionare, stimolandoci a raggiungere ogni volta un nuovo livello di complessità e perfezione”.