Il 50° del Festival della Fantascienza di Trieste è al centro del nuovo appuntamento con “Storie di Cinema”, il settimanale a cura di Tatti Sanguineti in onda su “Iris”, martedì 18 febbraio, in seconda serata alle 22.49, e in replica sabato 22 febbraio alle 10.47 e alle 00.55.
La trasmissione è stata realizzata nell’ambito dell’edizione 2013 di “Trieste Science+Fiction”, con riprese e interviste girate sui luoghi del festival, alla Sala Tripcovich, al Magazzino delle Idee e alla Casa del Cinema, nella sede della Mediateca La Cappella Underground.
A Trieste, città di frontiera, nel decennio del Dopoguerra, fu possibile vedere «l’un contro l’altro armati» sia film americani che film sovietici o del blocco comunista. Questa possibilità unica di visioni e di scoperte, ha fatto di Trieste per due-tre generazioni, «la città più cinefila e curiosa di cose di cinema di tutta Italia». I critici triestini di allora – Tino Ranieri, Tullio Kezich, Callisto Cosulish – «hanno dato la paga a tutti», chiosa Sanguineti.
Cinquant’anni fa, nel 1963, d’estate, dentro al castello di San Giusto, fu inventata una manifestazione di eccellenza ed avanguardia: il Festival del Film di Fantascienza. «Allora la fantascienza era di moda – racconta Sanguineti – e persino in Italia alcuni film d’autore dei primi Sessanta bazzicano la fantascienza: 8 1/2 di Fellini, Omicron di Gregoretti, La decima vittima di Petri».
«Trieste ospitò la fantascienza dell’Est e quella dell’Ovest, in cui si cimentano grandi autori come Losey, Kubrick e Frankheneimer», prosegue il critico savonese. «A Trieste furono inventate anche le retrospettive del genere e, nel ’63, fra i giurati c’era Umberto Eco, uno dei primi a studiare questo filone».
La manifestazione triestina ha conosciuto alti e bassi, glorie e misteri, cadute e resurrezioni, ovvietà e «incunanboli»: a raccontare il cinquantenario, con il curatore di ”Storie di Cinema” i due critici triestini che «hanno imparato da ragazzi a scoprire questi film: il critico di Positif Lorenzo Codelli e il direttore di Urania Giuseppe Lippi». «Spezzoni, frammenti e manifesti, sono da culto», conclude Sanguineti.