Marte chiama Sacks – Perché la fantascienza ha bisogno di confondere mogli e cappelli
di Jacopo Berti
Quando Oliver Sacks, scomparso recentemente all’età di ottantadue anni, pubblica, nel 1995, Un antropologo su Marte, il suo profilo barbuto e occhialuto è già piuttosto noto al grande pubblico attraverso il volto di Robin Williams, che lo interpreta nel film Risvegli del 1990. Nell’omonimo volume del 1973, così come in diversi libri successivi, il neurologo inglese descrive il suo lavoro di diagnosi e di cura di pazienti che hanno subìto danni neurologici, di individui affetti da particolari patologie, difetti, o semplicemente caratterizzati da insolite qualità che coinvolgono gli ambiti della percezione, del linguaggio, della memoria, dello stato di coscienza.
Del 1985 è L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, forse il suo libro più noto. Confesso che, quando alcuni anni fa vidi il volume in libreria, pensai subito ad un titolo metaforico o allegorico; o nel peggiore dei casi – complice la traduzione di “mistook” con “scambiò” – a qualche aberrazione economica o legale. Non ero preparato a quello che stavo per leggere: la storia di un signore che, affetto da agnosia visiva, era incapace di attribuire un senso alle immagini che gli occhi, perfettamente funzionanti, gli trasmettevano. Uscendo dallo studio di Sacks, l’uomo confuse la testa della consorte con un copricapo, fintanto che non provò ad afferrarla per indossarlo. La lettura di questa e di altre storie fu – e corro volentieri il rischio di sembrare retorico – illuminante. Salvo alcuni brani di Freud, il genere letterario “caso clinico” non aveva mai esercitato su di me un grande fascino; né credevo di poter trarre qualcosa di buono, privo com’ero di qualsiasi competenza specifica, da un libro di neurologia. Invece, sin dalle prime pagine, Sacks si dimostra, oltre che un ottimo medico, un abile narratore, capace di illustrare anche al profano i punti salienti del proprio lavoro. In questo senso, la disposizione d’animo che ne esalta la qualità professionale è la stessa che contribuisce a farne un grande scrittore: la dedizione e l’attenzione per gli individui, per le loro esperienze soggettive, per la loro più o meno compromessa ma mai del tutto soppressa capacità di abitare lo spazio dell’umano consorzio. Attraverso il susseguirsi dei casi clinici del Sacks-medico, il Sacks-scrittore indaga sul rapporto tra malattia e “normalità”, sul concetto generale di malattia e sulla paradossale, inquietante realtà di quelle patologie che, partendo come affezione che colpisce un individuo come un accidente esterno, giungono a costituire una parte integrante di quella persona, del suo stare al mondo, a tal punto che la guarigione comporta una sofferenza più grave della malattia.
Una delle immagini più comuni nelle opere di Sacks è quella del ribaltamento: il capovolgimento di giudizi, di valori, di punti di vista. L'”antropologo su Marte”, che dà il titolo ad uno dei sui libri più significativi, non è Sacks alle prese con persone talmente strane da sembrare originarie di un altro pianeta. È la prospettiva di una di questi “diversi”, la psicologa e zoologa Temple Grandin, che con questa metafora di alienità descrive le sue impressioni di autistica in un mondo di neurotipici.
Ma perché parlare di Oliver Sacks in uno spazio che si vorrebbe dedicato alla fantascienza? Lo spunto marziano è, ovviamente, pretestuoso. L’importanza di autori come Sacks sta nella capacità di fondere i due linguaggi, quello tecnico e quello narrativo; le due culture, quella scientifica e quella umanistica, in forme ibride come la fantascienza, in opere che ricordano che l’ibridazione non è una contaminazione degli strumenti per conoscere e comprendere la realtà che ci circonda, ma essa stessa uno degli strumenti più atti allo scopo.
Isaac Asimov sfidava i colleghi scrittori di fantascienza a rappresentare in maniera convincente le modalità di percezione e i processi mentali di un ipotetico essere alieno. La sua logica era stringente: se lo puoi scrivere già ti appartiene, già non è alieno. Leggere Sacks, a volte, pone di fronte agli stessi dubbi: la comprensione dell’altro – alieno in quanto, banalmente, altro da me stesso – è così naturale e accorata da sembrare a tratti illusoria. Ma ogni libro di Sacks si finisce di leggere nella ferma convinzione che l’empatia e la comunicazione tra esseri umani siano effettivamente possibili.