Dal diario di Lucio Rosvich
Oggi l’ho vista di nuovo. Il carrello carico di sporte e sacchetti romba sui sampietrini del lungomare, annunciando il suo passaggio quotidiano. La gente si volta, lancia occhiate sospettose. Qualcuno borbotta contro la chiusura dei manicomi ma la maggioranza si limita a ridacchiare. Quelli sulla sua strada, invece, cercano di liberare la strada e fuggire dalla puzza. La Pescivendola, dal canto suo, cammina verso il tramonto e li ignora tutti quanti.
Sul Lungomare la conoscono tutti: sono cinquant’anni che fa lo stesso giro ogni giorno. Parte appena dopo pranzo dal Faro Gatsby e risale verso il Castelbianco che raggiunge solo a tarda sera. Non è una passeggiata così lunga, ma lei si ferma ogni cento metri a rovistare nei cassonetti in cerca di lische e gusci di crostacei. Quando trova qualcosa lo prende con mani delicate e lo mette al sicuro in una delle tante borse del suo carrello come fosse un tesoro prezioso.
Non lo fa per fame: da quello che so io, il comune le passa una pensione sociale anche se non ha mai lavorato. Già, Pescivendola è solo uno dei tanti soprannomi che le hanno affibbiato negli anni. Per esempio, quelli che vivono nei rioni vicino alla Piazza Grande la chiamano la sirena, mentre nel quartiere di Barcon la conoscono come la figlia dell’Olandese. In realtà si chiama Julia, ma sono in pochi a ricordare il suo vero nome.
È molto metodica, nel suo. Ipnotica, quasi. La osservo ormai da parecchio e ormai potrei disegnarla nei suoi gesti. Arriva a un nuovo cassonetto, sistema il carrello di modo che non sia d’intralcio a nessuno, alza la sciarpa lurida fin sopra il naso e si infila nel sarcofago urbano. Non so come riesca a tollerare l’odore di certe giornate estive, visto che l’odore fa lacrimare me che sono a due metri di distanza. So solo che in un massimo di quattro pause per riprendere fiato, rovista a fondo in tutte le interiora della città. Poi, felice come una bambina riprende la marcia.
Oggi l’ho seguita fino alla fine del tragitto. Il rombo del carrello risuona per la Spiaggia della Principessa e si infrange sugli scogli in una schiuma di eco. Da una tasca, la donna tira fuori un mazzo di chiavi così voluminoso da sembrare una scultura moderna. Sono tutte chiavi smarrite, così mi ha detto una volta; chiavi abbandonate dentro un tombino, sotto le ruote di un automobile o ai lati di un’aiuola. Chiavi storte, rotte, o rovinate. Lei le prende tutte senza distinzione. E fra quelle chiavi smarrite a volte ce n’è una che apre i posti più inaspettati, come ad esempio il cancelletto della Spiagga della Principessa, un’oasi chiusa al pubblico. Recupera le borse e scende gli scalini dietro di lei.
Non so se l’ho già detto, ma ormai è sera e un mare scuro come vetro affumicato riflette l’occhio della luna. La Pescivendola percorre la spiaggia deserta e arriva al bagnasciuga. Si inginocchia sulla sabbia umida. comincia a scavare a una grossa buca appena sopra la linea di marea. Non so quanto scava, me ne sto lontano, non voglio spaventarla. A un certo punto ci svuota vicino i sacchi di plastica e rimane a guardare quel mucchio di scarti di pescheria e avanzi avariati. Occhi bianchi, lische fantasma e carapaci vuoti diventano le tessere del suo puzzle quotidiano. Sposta, confronta, smonta e ricompone quei corpi varie volte. Poi il mare sale tanto da invadere la buca.
A quel punto Julia raccoglie una bestiolina alla volta, la bacia a fior di labbra e la fa scivolare nella polla d’acqua. Quindi attende.
È un attimo, un bagliore dorato, il flash di una lampadina fulminata. La buca si accende all’improvviso come se all’interno ci bruciasse il cuore ardente di una stella. Poi si spegne, con la stessa velocità. Al suo interno, nel buio della notte, rimane solo un bel pesce dorato che pulsa di luce del chiarore delle lucciole.
Di fronte a quello spettacolo la Pescivendola batte le mani, ogni volta come se fosse la prima, e continua con l’avanzo seguente. Solo alla fine, dopo aver esaurito tutti gli scarti, si lascia andare a danze e risate mentre la marea riporta al largo i suoi miracoli.
Julia, la Pescivendola. Julia la Sirena. Julia la figlia dell’Olandese.
Un bel mistero. Se è vero che la Bora Nera le ha portato via la sanità mentale, c’è da dire che in cambio le ha portato un dono davvero speciale.
E io l’ho visto.
F.T. Hoffmann è nato nel 1992 fra le montagne del Friuli, anche se ora vive, lavora e scrive a Trieste. I suoi racconti compaiono nelle antologie di Lethal Books, Industria Tipografica Novocarnista e Acheron Books.