Love is all you need cantavano i Beatles in una delle loro più celebri canzoni, ma in fondo è dalla notte dei tempi che l’uomo parla d’amore e di tutte le sue più incredibili sfaccettature. Ad Hollywood l’amore si è dimostrato da subito uno dei temi più gettonati attorno a cui sviluppare le storie ed è con il cinema Classico americano che si è creata a livello cinematografico l’idea di una vita da sogno in cui l’amore è l’emozione attorno a cui tutto ruota e dove spesso si rivela essere il motivo fondamentale dell’esistenza. Durante gli anni si sono susseguiti vari filoni e generi che hanno fatto da supporto a quest’idea di vita e di mondo, dalle commedie romantiche ai classici d’animazione targati Disney passando per tutte quelle storie che da sempre sostengono la speranza dell’american dream. Negli ultimi tempi sta avendo uno straordinario seguito di pubblico il filone degli young adult, per il quale sono stati adattati best seller letterari per teenager – Harry Potter, Twilight e Hunger Games, solo per citare i casi più eclatanti – che sfruttano ambientazioni e storie fantastiche per ribadire ancora una volta questa idilliaca visione dell’amore come centro di tutto. Interessante è senza dubbio ragionare sul fatto che nonostante nel mondo di oggi gran parte delle relazioni tra teenager nascano e si sviluppino sulla rete – tra smartphone e social network – la rappresentazione cinematografica dei sentimenti continui ad essere legata ad una concezione di relazione molto classica, che spesso non ha alcun tipo di legame con il mondo contemporaneo e che preferisce ambientare le proprie storie in universi fantastici o mondi distopici in modo da poter favorire la nascita di questo tipo di rapporti, quasi come se continuare a mantenere intatta la visione idilliaca delle relazioni sia l’unico modo per non far morire i sentimenti.
In questo senso un film che rappresenta in maniera perfetta, semplice ed efficiente questa tendenza è sicuramente Equals di Drake Doremus, presentato in concorso alla 72ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che ambienta la propria storia in un’utopica società del futuro in cui gli abitanti vivono del tutto privati delle proprie emozioni. Negli ambienti asettici filo-Apple, che ricordano molto THX 1138 di Lucas e la fantascienza di Andrew Niccol, gli uomini si sono definitivamente tramutati in automi super efficienti dando così la sensazione del compimento di una fusione totale tra uomo e macchina che rappresenta in un certo senso un’ulteriore involuzione dei rapporti contemporanei. Capita però che nella società nascano dei casi di “infetti”, cioè di persone che a causa di un virus “regrediscono” ad uno stato più umano che gli permette di provare emozioni, ma che le rende al contempo delle minacce per l’equilibrio della società. Doremus decide di partire da qui per costruire un’esperienza spettatoriale che funziona prima di tutto a livello sensoriale, che si concede un punto di partenza che più freddo non si può per poi fare esplodere un’ondata di sentimenti che investono il pubblico senza concedere via di scampo: un’idea semplice eppure estremamente complessa, di essere umani, di persone nate e abituate a vivere come macchine, che improvvisamente scoprono che esiste qualcos’altro, e lo spettatore, entrato nel meccanismo glaciale inscenato dal regista di Like Crazy ne viene coinvolto senza rendersene conto. Così facendo Equals rappresenta in un certo senso il grado zero di questo filone romantico per adolescenti, soprattutto quando decide di svilupparsi su binari narrativi da drammone alla Giulietta e Romeo, ma al contempo dimostra di possedere uno sguardo quasi autoriale per il genere, che preferisce comunicare con le immagini piuttosto con le parole, il che non è di certo una cosa da poco.