Sempre più frequentemente negli ultimi tempi è successo che al cinema, quando si è trattato di parlare del mondo di oggi, gli autori abbiano deciso di ambientare le proprie storie in un tempo che non coincide con il presente, probabilmente per bypassare l’impossibilità di rendere lineare e comprensibile la frammentarietà in cui viviamo.
Matteo Garrone, che con le ossessioni contemporanee aveva dimostrato di destreggiarsi decisamente bene con lo straordinario Reality, questa volta è andato a pescare ne Lo Cunto de li Cunti, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile (Napoli, 1575-1632), pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636. Come lo stesso regista napoletano ha raccontato, la scelta delle novelle è stata dettata dalla vicinanza delle novelle alle ossessioni contemporanee: «Ho scelto di avvicinarmi al mondo di Basile perché nelle sue fiabe ho ritrovato quella commistione fra reale e fantastico che ha sempre caratterizzato la mia ricerca artistica. Le storie raccontate nel Cunto de li cunti passano in rassegna tutti gli opposti della vita: l’ordinario e lo straordinario, il magico e il quotidiano, il regale e lo scurrile, il semplice e l’artefatto, il sublime e il sozzo, il terribile e il soave, brandelli di mitologia e torrenti di saggezza popolare. Le fiabe raccontano i sentimenti umani spinti all’estremo».
Una volta selezionate tre novelle, Garrone è riuscito ad intrecciarle abilmente, seguendo un filo conduttore che l’ha portato a focalizzarsi su un aspetto della società contemporanea che più attuale non si può: l’immagine. I protagonisti, come i personaggi di contorno, che popolano le tre storie rappresentano, ognuno a suo modo, una particolare sfumatura di un’ossessione comune al mondo in cui vivono, nel quale la bellezza e l’aspetto esteriore sono l’unica cosa che conta e dove “il brutto” dev’essere respinto o eliminato. Come lo stesso regista di Gomorra ha dichiarato «ci ha colpito la capacità di queste fiabe di cogliere alcune ossessioni contemporanee: la smania per la giovinezza e la bellezza – che Basile descrive in modo persino iperrealista, offrendo con quattro secoli d’anticipo una satira della chirurgia estetica di oggi – l’ossessione di una madre pronta a tutto pur di avere un figlio, il conflitto tra le generazioni e la violenza che una ragazza deve affrontare per diventare adulta».
Garrone, per dipingere con efficacia il suo universo intriso di fiabesca magia, decide di affidarsi quasi esclusivamente alle immagini, usando i dialoghi con il contagocce laddove strettamente necessario, e facendo così capire fin da subito che, anche nella messa in scena, l’impatto visivo è l’elemento principale attorno a cui deve ruotare tutto ed in questo modo accompagna lo sguardo dello spettatore attraverso le metamorfosi fisiche e morali che i personaggi compiono.
In un’Italia fuori dal tempo e forse mai così magica i sovrani di tre regni cercano, non curanti del rispetto nei confronti delle altre persone, di perseguire i propri interessi, inducendo, in maniera diretta o indiretta, anche chi gli sta intorno ad agire nello stesso egoistico modo. Che siano poveri o ricchi, sovrani o servi, i personaggi de Il racconto dei racconti sembrano essere intrappolati in dei labirinti invalicabili costruiti dalla loro stessa sete di potere, che non gli permettono di trovare il favore delle persone con le quali cercano di isntaurare un rapporto sincero.
Ad intaccare l’armonia creata dalla bellezza di cui tutti cercano di attorniarsi, ci sono i sacrifici, sia corporali che etici, che i protagonisti devono fare per realizzare i propri sogni o le proprie scalate al potere: essi vengono incarnati da creature mostruose – realizzate con effetti speciali che non hanno nulla da invidiare alle produzioni hollywoodiane – che concretizzano, con la magia o con la propria morte, i desideri dei vari personaggi, ma che d’altra parte presentano, a chi avidamente gli sfrutta, un conto molto salato da dover pagare. Perché il mondo rappresentato ne Il racconto dei racconti deve per forza di cose mantenere un suo perfetto e delicato equilibrio, permettendo solo a chi è più avido e determinato di sopravvivere, senza però, in fin dei conti, accontentare mai nessuno.