“Per me, l’esplorazione dello spazio rappresenta l’estremo assoluto dell’esperienza umana. È per certi versi un modo per definire la nostra esistenza nell’ambito dell’universo. Per un regista, la straordinarietà di pochi individui selezionati che si spingono oltre i confini della specie umana, verso l’ignoto o dove possono eventualmente arrivare, fornisce una risorsa infinita di opportunità. Ero elettrizzato all’idea di fare un film che avrebbe fatto vivere al pubblico quell’esperienza attraverso gli occhi dei primi esploratori che viaggiano verso l’infinito della galassia – anzi attraverso tutta un’altra galassia. È come un viaggio talmente grande, difficile da immaginare e raccontare”.
Così Christopher Nolan ha voluto raccontare il suo Interstellar; ed è proprio con queste parole che potremmo descrivere quello che è lo spirito e quelle che sono le ambizioni del cinema e dello stile di narrare le storie di questo grande regista. Per dirla con Roberto Manassero, “Christopher Nolan è il prototipo dell’autore hollywoodiano contemporaneo: ambizioso ed eccessivo, magniloquente e melodrammatico, narratore popolare ma sognatore appassionato, mainstream nella forma e indipendente nell’ispirazione, perfettamente a proprio agio nel sistema ma, nonostante ciò, capace di ribadire a ogni occasione la forza della propria voce”. Il regista britannico è quel tipo di Autore a cui è permesso spendere 160 milioni di dollari per fare un film in cui c’è un sogno dentro a un sogno, dentro ad un altro sogno, in cui i palazzi si capovolgono su loro stessi e le trottole non smettono mai di girare; di costruire opere basate su idee che sembrano dei deliri di onnipotenza, ma che poi, puntualmente, sbancano il box office.
Il concetto di esplorazione dello spazio e dello spingersi oltre i confini di cui parla Nolan introducendo il suo ultimo film racchiudono perfettamente quelle che sono le ambizioni del regista che, quando decide mettere in scena le proprie idee e i propri sogni, ha sempre dimostrato di possedere un’indiscutibile sicurezza nei propri mezzi, delle ambizioni sconfinate e un’impeccabile meticolosità nel realizzare ogni singolo fotogramma da potersi permettere di non porre dei limiti alla propria immaginazione e alla propria maestosità scenica.
Alla base del cinema di Nolan c’è un’irrefrenabile voglia di sorprendere lo spettatore. Un desiderio che spesso tende a trasformarsi in ossessione – come ci ha spiegato con The Prestige, il suo film più personale – ma che, anche quando sembra spingersi al di là del limite consentito, riesce sempre nel suo intento, perché i suoi film sono calibrati come degli orologi svizzeri, in cui ogni cosa, anche gli eccessi, sono sempre al posto giusto al momento giusto.
Come ha voluto dimostrare con The Prestige, ogni film è semplicemente un trucco e Nolan, per farlo funzionare, riesce sempre a cambiare le regole del gioco a suo favore: in ogni suo film le coordinate spazio temporali assumono una valenza astratta, e se la realtà – o verità – sembra sempre essere davanti ai nostri occhi lo dobbiamo solamente al suo approccio da scienziato o da orologiaio, che lo aiuta a rendere credibili e serissimi anche i sogni più folli. Nolan sa bene che il tempo, soprattutto al cinema, ha un valore relativo, e così si diverte a giocarci, realizzando, ovunque può, dei montaggi alternati che dilatano ogni istante all’infinito, accumulando ed ingarbugliando più elementi possibili, in modo da trasformare l’ordinario in straordinario, così da sorprendere, ogni volta, il pubblico («…la parte più ardua, la parte che chiamiamo “Il Prestigio”»).
Nonostante le costruzioni cervellotiche, così perfette da sembrare delle inarrestabili macchine fredde e distaccate, le opere nolaniane ci vogliono parlare quasi sempre di una cosa sola, “…solo d’amore. È da Inception che Christopher Nolan parla d’amore. Il suo problema è che ne parla in maniera traslata, e per di più appariscente. E allora è un bersaglio prevedibile e privilegiato. Un bersaglio di tutti: dei cinici, di chi non ci crede mai, degli spettatori e dei critici che la sanno lunga. Certo, se uno parla d’amore, oggi, a Hollywood, qualche sospetto deve pur farlo nascere. Se poi uno ci impiega sempre tre ore per parlarne (Interstellar), qualcosa deve non tornare. […] Inception e Interstellar (che di Inception è il gemello speculare, l’immagine riflessa e per alcuni versi la copia) sono soltanto film d’amore. Parlano d’amore, e con i sentimenti costruiscono una realtà. […] E la fantascienza? È un trucco. Ma anche no: perché la rifondazione passa attraverso le altre galassie e le altre dimensioni. E più di tutto passa attraverso l’amore, con buona pace del cinismo generalizzato. Un amore che era fra un uomo e una donna (Inception) e che qui è fra un padre e la figlia. In entrambi i casi, comunque, un amore fondativo, per un nuovo reale, un nuovo paesaggio sociale e intimistico, ribaltando e annullando i concetti comuni di pensiero e specie”. (Pier Maria Bocchi – Cineforum)