Sergio Martino
Premio Urania d’argento alla carriera 2017
Cos’è stato Sergio Martino per la galassia del cinema italiano lo sintetizza con puntuale e matematico rigore Ernesto Gastaldi, all’interno della prefazione all’autobiografia martiniana: «66 regie, 44 sceneggiature, 5 film come direttore di produzione. Un record di lavoro e di successi».
Chi è stato Sergio Martino lo spiega egli stesso, nel suddetto libro, autodefinendosi «regista trash emerito, come mi diverte considerarmi ora, cercando di bilanciare gli insulti dei critici all’uscita dei miei film, negli anni ’70 e ’80, e gli osanna delle nuove generazioni».
Eppure, nonostante la straordinaria prolificità e il sorprendente rapporto tra quantità e qualità delle pellicole, Sergio Martino è stato per molto, troppo tempo considerato semplicemente “il fratello regista di Luciano”, produttore e capitano d’industria certamente illuminato, ma complementare al (e non soverchiante il) più giovane germano. In pratica, negli anni d’oro della Devon (poi Zenith, infine Dania) Sergio e Luciano hanno esplorato – ognuno rispettando ruoli e professionalità dell’altro – tutti i generi del cinema popolare, scoperto volti e corpi attoriali (su tutti Edwige Fenech, ma potremmo citarne a decine fino ad arrivare a Nicole Kidman), girato il globo e regalato al pubblico ciò che il pubblico chiedeva, ovvero: spettacolo, in forme sempre diverse. C’è stata l’epoca degli spaventi, confezionati mediante stranianti grandangoli, vertiginosi zoom, antirealistici colori primari e immagini smerigliate fino alla moltiplicazione negli psico-thriller di inizio anni ’70. Lo strano vizio della signora Wardh e seguenti hanno portato alla ribalta Edwige Fenech, George Hilton, Anita Strindberg e Ivan Rassimov come volti terrorizzati e terrorizzanti della paura made in Italy, quella che oggi miete proseliti in tutto il mondo. Poi sono arrivati i polizieschi, con Luc Merenda e Claudio Cassinelli sugli scudi e i sottotesti politici a insinuarsi tra gli inseguimenti e le scazzottate di Milano trema: la polizia vuole giustizia, La polizia accusa: il servizio segreto uccide o Morte sospetta di una minorenne. Infine, la grande stagione delle risate (a episodi e non) ha consacrato Martino come sovrano indiscusso di una commedia sexy eppur garbata, realizzata occhieggiando alle esigenze carnali del periodo, ma sempre anteponendo la battuta alla gratuità di un nudo. Certo, i titoli (spesso ideati da Luciano) promettevano ben altro (un caso su tutti, l’archetipico Giovannona Coscialunga disonorata con onore), ma quelle erano esigenze dettate da un mercato che ha spesso regalato ai Martino ottimi incassi. Fenech, ma anche Barbara Bouchet, Lino Banfi, Gigi & Andrea sono entrati nel canone di una neo-commedia (all’) italiana magari più bassa della sorella maggiore, ma certamente di grande presa popolare. Tra i suoi volti anche Marty Feldman, che è valso il biglietto per l’estero a un genere solitamente recluso entro i confini nazionali.
Ma Martino è stato anche sinonimo di mondo movie, western, lacrima-movie (il sottostimato eppure raffinatissimo La bellissima estate), horror cannibalico e action spionistico internazionale. Soprattutto, ha donato alla fantascienza post-apocalittica due titoli come 2019. Dopo la caduta di New York e Vendetta dal futuro, fantasiose ricostruzioni di mondi realizzate ottimizzando mezzi di fortuna grazie a un’inventiva fuori dal comune. Un’inventiva che in quegli anni ha reso il nostro cinema un prodotto da esportazione competitivo e vincente sui mercati esteri. Un’inventiva che Sergio Martino ha sempre messo al servizio dei suoi film con l’umiltà, la professionalità e l’eleganza che lo contraddistinguono, come metteur en scène e come uomo.
di Claudio Bartolini