Christopher Nolan, al Festival di Cannes, non c’era ancora mai stato. E per un regista bigger than life come lui, la prima volta, non poteva di certo passare inosservata.
È stato convocato sulla Croisette per presentare 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick – il film che lo fece innamorare del cinema – in una nuova versione restaurata in 70mm supervisionata in prima persona dallo stesso Nolan: «vederlo all’epoca mi convinse che col cinema si potesse fare tutto, ma soprattutto spingere i limiti oltre l’impossibile. Lo vidi la prima volta quando tornò in sala, sull’onda del successo incredibile di Star Wars di George Lucas. Avevo sette anni e ricordo che mio padre mi portò a vederlo in una sala con uno schermo enorme, in 70 mm, al cinema di Leicester Square a Londra: fu qualcosa di sovrannaturale per me che ero solo un bambino; fu come essere trasportato in un’altra dimensione».
È forse proprio con queste parole, con questo sogno cinematografico ad occhi aperti, che potremmo descrivere lo spirito e le ambizioni che hanno sempre contraddistinto il cinema e lo stile di narrare le storie di uno come Christopher Nolan. Come scrisse all’uscita di Inception il critico cinematografico Roberto Manassero, il regista britannico è “il prototipo dell’autore hollywoodiano contemporaneo: ambizioso ed eccessivo, magniloquente e melodrammatico, narratore popolare ma sognatore appassionato, mainstream nella forma e indipendente nell’ispirazione, perfettamente a proprio agio nel sistema ma, nonostante ciò, capace di ribadire a ogni occasione la forza della propria voce”. Quel tipo di autore a cui è permesso spendere 160 milioni di dollari per fare un film in cui c’è un sogno dentro a un sogno, dentro ad un altro sogno, in cui i palazzi si capovolgono su loro stessi e le trottole non smettono mai di girare; di costruire opere basate su idee che sembrano dei deliri di onnipotenza e sogni che non pongono limiti all’immaginazione.
Perfettamente consapevole – ed entusiasta – di questo, Nolan racconta che «con i film ad alto budget la cosa bellissima è che puoi creare degli scenari in cui calare totalmente lo spettatore, permettendogli un’immersione totale in un mondo completamente nuovo. Mi sono accorto che alla fine i miei film corrispondono sempre all’idea originaria con cui sono nati e questo mi conforta, perché significa che sono realizzati a partire da fondamenta molto solide e che in questo senso permettono allo spettatore di costruire il proprio film durante la visione, con la stessa libertà che ho io in fase creativa. Tutto questo può effettivamente concretizzarsi solo se alla base di ogni progetto c’è uno spunto drammaturgico degno di questo nome. E infatti non ringrazierò mai abbastanza mio padre che mi costrinse a prendere una laurea “vera” in letteratura, dicendo che se avessi voluto avrei potuto fare cinema dopo. Perché proprio grazie a quegli studi ho potuto imparare a muovermi nelle strutture letterarie, tra i miti e le storie, capendo l’importanza del simbolismo che viene costruito nell’immaginazione».
Ed è proprio dagli studi letterari che nasce la passione sfrenata di Nolan nei confronti del noir, genere da cui è partito per la realizzazione di qualsiasi sua opera: «i miei temi ricorrenti mi portano sempre altrove, al mistero della mente, al senso di colpa e di giustizia, alla fiducia e al tradimento. Ed il noir fa esattamente questo: attinge ed estrapola le nostre paure più recondite e i nostri desideri più proibiti. La figura della femme fatale, la fantasia della vendetta sono infatti esagerazioni delle nostre preoccupazioni quotidiane». Da qui è iniziata anche la ridefinizione di un genere all’epoca ancora non così esplorato come quello dei cinecomic, che ha trovato nella trilogia nolaniana dedicata al Cavaliere Oscuro uno dei suoi massimi vertici. «Fino a quel momento l’aspetto meno approfondito di un personaggio come Batman era proprio la sua dimensione noir; un genere in realtà perfetto per raccontare il suo mondo, dove i personaggi vengono giudicati dalle azioni e non dalle parole. Questo mi ha permesso di ripensare ad un’intera mitologia partendo da sentimenti incredibilmente umani come la paura e il senso di colpa, che proprio nel noir vengono vengono messi in primo piano».
Forse non è quindi un caso che ogni esperienza cinematografica diretta da Christopher Nolan, prima ancora di provare a ricreare quelle sensazioni “sovrannaturali” scaturite dalla sua prima visione di 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick, mette sempre al centro di tutto l’essere umano. Sia da un punto di vista drammaturgico, con le incertezze, i timori e la tenacia veicolati dai personaggi, che spettatoriale. Perché è chiaro, dalle sue parole, che solo così – solo partendo da queste fondamenta – che è possibile creare dei viaggi in grado di generare stupore e meraviglia. Viaggi talmente grandi da essere «difficili da immaginare e raccontare. E io non sono uno che si accontenta».