Appassionante e struggente il nuovo capolavoro di Ivan Silvestrini che, dopo quattro anni di assenza, torna sulle scene con una pellicola tratta da un graphic novel di Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo.
L’idea, come ha spiegato più volte Recchioni, era quella di ‘una donna nel deserto che cerca di entrare in una macchina nera, simile al monolito di 2001: Odessea nello spazio’.
Monolith è un Suv ipertecnologico che risponde al bisogno di sicurezza intrinseco nel genere umano e dotato di un sistema di intelligenza artificiale, Lilith. È la macchina più sicura di tutti i tempi, un bunker indistruttibile.
Sandra, una splendida Katrina Bowen, è una giovane madre che si ritrova a dover combattere con il suo senso di inadeguatezza alla maternità e con il suo passato da pop star di cui, a volte, sente la mancanza. Mentre si trova a bordo della sua Monolith con il figlioletto di due anni, David, Sandra avverte uno strano presentimento e decide di raggiungere il marito, un produttore discografico momentaneamente a Los Angeles per lavoro. A causa della presenza un incidente in autostrada, la nostra protagonista decide di proseguire per un percorso alternativo, ritrovandosi nella gola incontaminata del Gran Canyon. Quando investe in cervo e scende dal Suv per controllare i danni, David, che stava giocando con lo smartphone della madre, imposta la modalità Vault dall’applicazione di controllo della Monolith, così da bloccarne le portiere ed ogni altra attività. Così inizia, per Sandra, una lotta contro il tempo che ha come unico obiettivo quello di salvare la vita del figlio, rimasto intrappolato. Sandra riesce a reggere il peso della scena sulle sue sole spalle ed incarna tutti i classici canoni dell’eroina, sporca e stanca, animata da un obiettivo di fronte al quale non può arrendersi.
Riuscirà la sua forza di volontà a salvare la vita del figlioletto oppure tutti i suoi tentativi saranno vani?
Monolith riesce a tenere lo spettatore in suspence fino alla fine. Travolgente, drammatico, un viaggio nei meandri della mente di questa madre vittima degli eventi e segnata da quel profondo senso di inadeguatezza che fa da padrone in lei. Nemmeno David, in effetti, riesce ad indentificarla come madre. Soltanto nel finale della pellicola riesce ad rivolgersi a lei chiamandola ‘mamma’ piuttosto che con il suo nome.
Certo è che la scelta per la location non poteva essere migliore. Con l’ossessione per i grandi Suv, di cui gli americani sono portabandiera nel mondo, e la necessità di un paesaggio così ampio e singolare come il deserto, roccioso e scosceso, ‘Monolith’ non poteva che essere girato in America con attori americani.
Lavoro ben riuscito.